"Abbiamo ottenuto tutto quello che cercavamo. Abbiamo il Paese nelle mani”. Così disse secondo Spatuzza, che sta deponendo nell'aula bunker di Firenze nell'ambito dell'inchiesta sulle stragi mafiose del'93, il boss mafioso Giuseppe Graviano. Spatuzza prosegue riferendo il colloquio avuto con il boss Giuseppe Graviano a proposito della presunta trattativa Stato - mafia: “Non erano come quei quattro socialisti che mi hanno venduto". E "mi ha menzionato nello specifico il nome di Silvio Berlusconi e di un nostro compaesano, Marcello Dell'Utri". Secondo quanto emerso nella deposizione del pentito, Francesco Tagliavia, dopo l'attentato di Firenze, avrebbe mandato a dire a Giuseppe Graviano di fermare le stragi. Nella fase preparatoria dei doppi attentati di Roma e Milano, "Lo Nigro mi comunica che Tagliavia vuole un incontro che avviene durante un'udienza nel tribunale di Palermo, nel quale siamo entrati da un ingresso secondario. Vedo Francesco Tagliavia sul banco degli imputati - ha detto Spatuzza - ci ha guardato e ci siamo salutati. Qui è avvenuto il colloquio tra Tagliavia e Lo Nigro. Tagliavia mi manda un bacio a distanza facendo un movimento del polso 'a martellò: è un gesto in codice, è un bacio diretto a Giuseppe Graviano, che da bambino era appunto soprannominato 'martellò. Tagliavia - ha proseguito Spatuzza - in quel modo voleva far sapere a Graviano di bloccare tutta la fase dei Bingo, cioè di fermare gli attentati. Io non me l'aspettavo - ha aggiunto Spatuzza - e non sono a conoscenza di come pervenne questo messaggio a Graviano. Per quanto mi riguarda, la questione stragista andò avanti". Spatuzza ha parlato anche del fallito attentato che doveva fare strage di carabinieri “almeno un centinaio” di fronte allo stadio Olimpico di Roma in una domenica di fine ‘93. Il pentito ha parlato della fase preparatoria dell’attentato, di un’auto di grossa cilindrata – una Thema – proveniente da Palermo con numero di telaio e motore limati. L’auto era carica di esplosivo. “Finora nemmeno i talebani hanno fatto qualcosa del genere. Oltre alla carica esplosiva abbiamo messo chili di ferro tagliate in minuscole parti di pochi millimetri per fare più vittime possibile”. L’attentato fallì perché il congegno dell’innesco non scattò. La macchina venne poi recuperata, “disarmata” e l’esplosivo venne trasferito da Scarano in una casa che avevamo a disposizione a Capena, nella periferia nord di Roma.
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